Turismo all’aria aperta in Umbria, il 2018 si chiude con una “ripresina”
La mancanza di interventi di salvaguardia, manutenzione e valorizzazione del territorio che, in alcune zone come il Trasimeno, causano anche il proliferare incontrollato di fenomeni naturali assolutamente incompatibili con una gradevole fruizione da parte dei turisti, che vengono in numero minore e se vengono a volte scappano.
E poi l’innalzamento delle temperature nei Paesi europei, tradizionale bacino di utenza dei nostri campeggi, che con il clima decisamente più gradevole hanno cominciato a fare le vacanze entro i propri confini.
Sono questi i “nemici” di una piena ripresa in Umbria del turismo all’aria aperta, settore già importante, ma che potrebbe avere performance enormemente superiori.
Così se il 2017 era stato un anno molto difficile per il turismo all’aria aperta in Umbria, essendo immediatamente seguente al terremoto, secondo quanto emerge da un’indagine condotta tra i propri associati da Faita Umbria, la Federazione delle strutture all’aria aperta aderente a Confcommercio, il bilancio 2018 è in miglioramento, ma molto a macchia di leopardo – c’è chi è cresciuto in arrivi e presenze, c’è invece chi è calato – e offuscato da problemi annosi e sempre irrisolti. Insomma, meglio del 2017, ad esempio ad Assisi e Bevagna, ma non proprio bene, se rapportata alla stagione 2016 pre-sisma.
A salvare la stagione 2018 soprattutto l’aumento di turisti italiani, prevalentemente del Centro-Nord, mentre gli stranieri sono cresciuti in alcune zone – Assisi, e anche il Trasimeno – ma diminuiti in altre. Immutati i luoghi di provenienza: Olanda, Germania, Francia, Regno Unito, Belgio. Nel novero complessivo di arrivi e presenze gli stranieri rappresentano comunque sempre – con circa il 60% – la componente predominante.
Nella offerta della ricettività all’aria aperta prevale ancora con l’80% del totale la presenza di piazzole da utilizzare con camper e roulottes; il 18% è costituito da bungalow e da case mobili. La stagione del turismo all’aria aperta è tarata su una durata di circa 6 mesi, e proprio in relazione alla sua brevità non conforta il tasso di occupazione media regionale, che si attesta sul 20%. La permanenza media è di 6-8 giorni nel Trasimeno, di 2-3 giorni nel resto dell’Umbria.
“L’innalzamento qualitativo delle strutture è un elemento importante su cui gli operatori sono disposti a lavorare – sottolinea il presidente Faita Umbria Claudio Baldoni – ma non serve a nulla se poi non ci sono le condizioni ambientali favorevoli per dare impulso a questo fondamentale segmento del turismo in Umbria.
Il Trasimeno, che insieme ad Assisi ha la maggiore concentrazione di strutture, quest’anno peggio che mai ha subito gli effetti devastanti della mancanza di interventi sia per prevenire l’invasione dei chironomidi, sia per una adeguata manutenzione delle sponde. Purtroppo si è innescato un circolo vizioso: le acque del lago si abbassano, le alghe crescono e diventano più invasive e fastidiose, gli insetti trovano le condizioni ideali per proliferare, i ragni trovano cibo abbondante e a loro volta crescono in modo abnorme creando ragnatele che sono vere cattedrali. Si può ben immaginare l’effetto che tutto questo ha sui turisti.
Bisogna spezzare questa catena, con interventi mirati, efficaci e soprattutto tempestivi. Un operatore che – esasperato dalla situazione – ha deciso di intervenire da solo e a proprie spese per ripulire le sponde si è beccato una sanzione! Faita Confcommercio – conclude Baldoni – chiede alla Regione e alle altre istituzioni competenti risorse dedicate e soprattutto una programmazione approfondita e articolata degli interventi, che ottimizzi la gestione delle risorse stesse.
In un mercato sempre più competitivo e alle prese con cambiamenti climatici su cui certo non possiamo incidere, il settore del turismo all’aria aperta – che rappresenta un valore enorme per la nostra regione – deve ricevere un deciso impulso ed essere messo nelle condizioni ideali per operare e produrre ricchezza indotta per l’intera economia regionale”.
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