Boom di taccheggi, ma la crisi non è la (sola) spiegazione
A leggere il dato nudo e crudo sembrerebbe scontato il nesso di causalità tra la crisi e l’aumento dei taccheggi nella nostra regione: secondo l’Indagine Confcommercio-GfK Eurisko il 66% del campione ha subito furti di merce esposta nel proprio esercizio commerciale da parte di frequentatori/visitatori/clienti, dato ben superiore alla media italiana del 55%.
A leggere il dato nudo e crudo sembrerebbe scontato il nesso di causalità tra la crisi e l’aumento dei taccheggi nella nostra regione: secondo l’Indagine Confcommercio-GfK Eurisko il 66% del campione ha subito furti di merce esposta nel proprio esercizio commerciale da parte di frequentatori/visitatori/clienti, dato ben superiore alla media italiana del 55%.
Ma l’esperienza diretta degli imprenditori obbliga a cambiare idea: dietro il taccheggio molto spesso non c’è lo stato di necessità. A Legalità mi piace lo ha spiegato il vice presidente provinciale degli Alimentaristi Fida-Confcommercio Samuele Tognaccioli (nella foto) titolare di alcune piccole e medie superfici nella zona di Città di Castello: “Gli artefici di questo reato sono soprattutto donne, ultrasessantenni, e i prodotti più taccheggiati sono profumi, pettini e tinture”. Molto “gettonati” anche i liquori, spesso rivenduti; c’è poi chi scambia i codici dei prodotti, così da comprare a minor prezzo un prodotto più costoso. L’ultima “moda”, vera e propria truffa, è quella – messa in atto da giovani – che comprano cose di poco prezzo e pagano alla cassa con pezzi da 50/100 euro, poi tirano fuori gli spiccioli e, giocando sulla velocità e sulla confusione del cassiere/a, si fanno ridare sia il resto dei 50/100 euro che la banconota con cui hanno pagato. E anche in questo caso la crisi c’entra poco.
Nel caso di negozi di abbigliamento o pelletteria, in cui i prodotti sono generalmente dotati di placche antitaccheggio, qualcuno riesce a staccarle, oppure si utilizzano borse “schermate” per evitare o attutire la rilevazione dei sensori.
Il dato per le imprese è comunque allarmante: in prodotti taccheggiati se ne va una media dell’1-1,5% di fatturato dell’azienda.
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